La dura vita del giovane in politica.

In questi giorni la politica italiana ruota tutta attorno alle vicende di Silvio Berlusconi, imprenditore e politico di 77 anni. Le Istituzioni, il Governo, i Mass Media, tutto l'apparato socio-economico sembrano essere legate a questa figura. I problemi in Italia hanno una sola soluzione, cosi' dicono, eliminare Berlusconi dalla politica. Con la sua decadenza da Senatore in quota Molise, sembra che il Paese sia destinato ad uscire dalla buia caverna platonica. Niente di più falso. I problemi nel nostro Paese vanno oltre vent'anni di berlusconismo e almeno 40 di mala gestione. Bisogna invece scavare nella quotidianità e per farlo oggi vorrei dedicarmi ad una parte tra le tante che mi sta particolarmente a cuore: il tema dei giovani in politica. Cosa vuol dire essere giovani e fare politica oggi?

Frustrazione e' la parola che mi viene in mente per prima. Quando si e' poco più che ragazzini e si decide di far parte di un partito politico, si vive tutto con grande passione, la passione tipica di chi si affaccia per la prima volta ad un mondo nuovo. E questa passione, positiva, viene pian piano trasformata in un tallone d'Achille. Paradossalmente il fatto di crederci più degli altri diviene presto il grimaldello della delusione, dell'ingiustizia, della frustrazione appunto. All'inizio si entra in punta di piedi, con una reverenza che si rivelerà essere una qualità molto rara in seguito, si osservano gli altri, si ascolta, si comincia ad esprimere il proprio pensiero nelle prime riunioni di partito. Si dicono cose intelligenti, cose più banali, ma si cerca comunque di esprimere un concetto, di dare un contributo, di fare del proprio meglio per cambiare le cose. Questo, se si e' particolarmente abili col linguaggio, porta delle attenzioni, qualcuno si avvicina, ti dice che sei bravo, che parli bene, che le tue idee sono linfa vitale per il partito, qualcuno addirittura si avventura in un "ce ne dovrebbero essere di più come te". Questo porta il giovane ad aumentare la propria consapevolezza di se' e a dare ancora di più, ci si ritrova cosi' ad essere i primi ad alzare la mano quando si cercano volontari per qualche volantinaggio o un banchetto, si diventa cosi  la faccia "pulita" del partito, ci si prende le prime offese dal passante di turno, ci si arrabbia e ci si sente vittime di un comune generalismo, cominciamo ad essere "il politico" per gli amici, ma tutto sommato ci va bene cosi'. La sera, quando si torna a casa, si pensa a quello che avremmo dovuto dire a quel signore dubbioso che chiedeva informazioni, alle risposte che non abbiamo saputo dare, a quelle che avremmo potuto svolgere meglio, ci si forma insomma. Nel frattempo a livello nazionale c'e' sempre una battaglia da portare avanti, alcune sono molto facili e basta solo dare voce alle frustrazioni della massa, altre invece necessitano di studio, di capire i fenomeni e farli propri e questo e' il primo vero spartiacque in un partito, c'e' chi si accontenta del diverbio col passante di turno e chi invece aspira a qualcosa di più. E' qui che si genera il seme della frustrazione più profonda. Quando ci accorgiamo che quel "compagno" di partito alla fin fine e' li' da 20 anni a dire le stesse cose, che forse il fatto che siamo figli di un'altra generazione ci garantisce un "vantaggio evolutivo" per affrontare la società moderna, cominciano le prime avvisaglie di reazionismo. Nel frattempo c'e' un congresso. C'e' sempre un congresso dietro l'angolo. Comunale, provinciale, regionale, nazionale. O delle primarie, o l'elezione di un membro di una commissione, o l'assegnazione di un ruolo in una partecipata. In quei momenti il giovane diventa una pedina, viene spinto verso il tritacarne della politica, quella sporca e che da spago ai protagonismi più repressi e subdoli. Ti si avvicinano, ti dicono che sei bravo e che quel posto te lo meriti, che c'e' bisogno di aria nuova. Ma per averlo devi supportare Lui anziché l'Altro, perché Lui e' l'unico che può cambiare le cose, che può far prendere al partito quella linea politica che avevi in mente. Allora comincia la campagna elettorale, telefonate, incontri, riunioni clandestine, incontri in un pub davanti ad una birra insieme a quelli che la pensano come te, o a quello che e' indeciso. Ti applichi perché ci credi, perché quel "posto" non e' un "posto", ma un'opportunità per portare avanti certe idee a livelli sempre più alti. Perché la pensi come Lui ed e' giusto che accanto a Lui ci sia tu. Perché sei ambizioso, ma non l'ambizione intesa come una cosa sporca e viscida, ma quella cosa che se non hai allora fatti da parte verso i più meritevoli . L'ambizione non e' una malattia, ma una qualità, il voler dare il proprio contributo e fare "strada" perché lo si e' meritato, con le idee, la passione e i contributi ad una linea politica. E' far si che nei "posti" giusti, ci siano le persone giuste che ci credono davvero. Troppo spesso si fa un uso ipocrita della parola ambizione. Ambizione e' sacrificio, assumersi delle responsabilità, essere l'unica causa di un fallimento e dividere i meriti di un successo.
Alla fine arriva il giorno, si vota. Lui vince, anche grazie al tuo contributo. Ma tu non rientri nella lista dei nomi. "Sai, all'ultimo momento quella parte ha espresso dei dubbi", "Sai, c'era quel comune che aveva solo 2 nomi", "Sai, quello che prima era dall'altra parte di e' mostrato più accondiscendente", "Ottimo lavoro, vedrai che le opportunità saranno sempre di più". Li' per li' ci rimani male, ti torna in mente tutto il lavoro svolto, le litigate con la fidanzata, gli amici trascurati, quelle calcettate saltate, quei giorni di sole passati in una calda stanza della sezione. Ma te ne fai una ragione, probabilmente e' come dicono loro, forse Quello era più meritevole, anche se nel partito e' arrivato dopo di te e alle riunioni o ai banchetti non l'hai mai visto. Passano i mesi e Lui comincia pian piano a diventare l'Altro e l'Altro a diventare Lui. Si scambiano i ruoli, ti poni domande, ti chiedi come sia possibile, ti indebolisci ma cerchi di andare avanti. Ti offrono di organizzare un evento al quale parteciperanno a stento anche i più assidui militanti. Ti danno una pacca sulla spalla e ti dicono che sei bravo. E ricomincia il tritacarne. Davanti ai tuoi occhi passano tutti, alcuni entrano, altri vanno via. Ti chiedono di portare qualche amico, ma dopo qualche tempo desisti, perché ti accorgi che di magico non c'e' mai stato tanto. Un giorno ad una riunione, alzi la voce, dici quello che pensi, in tanti ti guardano con un cenno d'intesa, spiazzati da cose che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dire. E nonostante i tanti sguardi accondiscendenti di quella riunione, diventi il giovane ambizioso, che e' venuto per fare carriera, che non aveva fatto abbastanza "gavetta". "Questi vengono qui e pensano di cambiare il mondo, io sono qui da vent'anni e ancora non ho cambiato nulla". E in una frase detta con arroganza e presunzione, a petto gonfio, si sintetizza l'immobilismo di una politica cieca e ormai immune alle passioni. Ti rendi presto conto che devi sporcarti le mani per raggiungere gli obiettivi. Questo e' l'ultimo grande spartiacque. C'e' chi si sporca le mani e chi no. I primi vanno avanti, i secondi sono gli "ambiziosi e i carrieristi". Un mondo alla rovescia.  
Per questo non mi faccio galvanizzare da figure che ultimamente promettono il cambiamento, di rovesciare il tavolo, di dare spazio alle nuove generazioni. Perché se si arriva a dire quelle cose in un TG, vuol dire che ci si e' sporcati le mani, che di giovane non e' rimasto nulla, una grigia impalcatura cava e logora. Violati nell'animo da tutti i "si" a capo chino. Perché nella politica di oggi i giovani non hanno spazio e mai l'avranno se vogliono rimanere tali. Prima di cambiare il mondo, va cambiata la politica. Bisogna tornare a scriverla con la P maiuscola.  


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